Oggi vi riproponiamo con vero entusiasmo lo scrittore e drammaturgo Patrizio Pacioni, con il quale è stato molto piacevole interloquire tramite email e la ragione la capirete seguendo e leggendo questa intervista!
- Buongiorno Patrizio, ben arrivato tra le pagine di Destinazione Libri.
Tra le pagine? Davvero? Oh, ecco un posto in cui davvero mi piace stare.
- Rompiamo il ghiaccio, cosa fai nella vita di tutti i giorni? Hai voglia di raccontarci qualche cosa di te?
Nella vita di tutti i giorni? Incontro gente, leggo, m’interesso di ogni forma di espressione artistica, organizzo eventi, osservo la realtà sociale e politica e l’analizzo per me e per altri, cercando di mantenere, per quanto possibile a un essere umano, una visione razionale e priva di preconcetti e discriminazioni. E scrivo, naturalmente. Scrivo ogni giorno, perché una giornata senza scrittura, per me, è una giornata persa.
- Quanti libri hai pubblicato?
Sedici, fino a oggi, tra romanzi drammatici, gialli, noir, testi teatrali, ma anche due libri di fiabe. Di questi cinque riguardano il commissario Cardona, tre li ho scritti insieme ad altrettante scrittrici: Giovanna Mulas, Lorella De Bon e la giovanissima Dalia Di Prima.
- Di cosa parla il tuo ultimo libro?
“In cauda venenum” è composto da due romanzi brevi: “Una trappola per il Leone” e “Cardona e il suonatore di campane”. Il primo è azione e adrenalina pura; il secondo tratta, sia pure attraverso la struttura tipica del thriller, un tema di grande rilevanza sociale, ovvero la violenza sessuale esercitata su minori.
- L’idea di scrivere questo libro è nata come sfogo o come necessità?
Necessità, come per tutti gli altri libri che ho firmato. Per “necessità” intendo quella di fare uscire da me le storie che nascono dentro e che rimangono imprigionate nella mente finché non le riverso su carta. Sono tante, sai? Ne nascono in continuazione e chiedono di essere raccontate: alla fine riescono a evadere quelle che più ad alta voce e con maggiore urgenza lo reclamano.
- Qual è stata la parte più difficile quando hai scritto il libro?
Beh, intanto si trattava di riprendere il filo della “saga di Monteselva” (la città della fantasia e dell’immaginazione in cui sono solito ambientare avventure e indagini del commissario Cardona (e non solo). A tal fine, oltre ad avere recuperato i vecchi personaggi, ho pensato d’inserirne dei nuovi che, nella mie intenzioni, caratterizzeranno le prossime uscite. Scendendo nello specifico, posso dirti che “Una trappola per il Leone” è venuta praticamente da sé: calato fin dall’inizio in una situazione di estremo pericolo, il commissario è stato costretto a mettersi in gioco fino alle estreme conseguenze, e io non ho dovuto fare altro che darne conto con la mia scrittura. In “Cardona e il suonatore di campane”, invece, mi è risultato davvero faticoso, a volte persino doloroso, calarmi nei panni di vittime della più intollerabile delle violenze: quelle perpetrate a danno dei più giovani.
- Una duplice copertina…. per un solo protagonista, il commissario Cardona. A tratti mi ricorda il metodo investigativo tipico di Sherlock Holmes, qualcosa li accomuna o sono diversi? Se sì in cosa?
Di riconducibile a Sherlock Holmes, nel mio Leonardo Cardona, c’è quel processo d’indagine induttivo/deduttivo che, senza ombra di dubbio, intriga e (perdona la parola, visto l’argomento che stiamo trattando) delizia il cacciatore che c’è in lui. In comune tra i due anche l’utilizzo delle più moderne conquiste della scienza per arrivare alla soluzione di un mistero. Per il resto, però, pur considerando il gran numero di suoi colleghi operanti… in letteratura, direi che il mio commissario si distingue per l’equilibrio con il quale gestisce una dualità che per altri potrebbe risultare destabilizzante: quella tra legge e ordine da una parte e di estrema indipendenza e di capacità di trasgressione dall’altra. Un codice morale (e immorale) che si è costruito da solo e al quale risponde sempre con assoluta coerenza.
- Il rapporto con i lettori per un autore è importante, com’è il tuo?
Intenso e, soprattutto, franco: credo che per uno scrittore sia fondamentale tastare con una certa continuità “il polso” del proprio pubblico, non solo per ricevere gratificazioni (pure piacevoli e rassicuranti) ma anche, e soprattutto, per comprendere se ciò che si vuole trasmettere arriva nel modo giusto. Ben vengano, dunque, critiche e suggerimenti.
- Che rapporto hai con i social?
La mia presenza in Rete è quotidiana. Grazie a internet sono riuscito non solo a diffondere su ampia scala tutti i frutti del mio lavoro da scrittore, drammaturgo e blogger, ma anche a entrare in contatto con personaggi che molto hanno arricchito sia i miei orizzonti culturali e creativi sia le opportunità per mettere in pratica alcuni importanti progetti.
- Patrizio, tu scrivi anche fiabe e filastrocche, quale genere senti più tuo?
Il genere drammatico-introspettivo mi arricchisce, il giallo-noir mi stimola e mi diverte, le fiabe recuperano la fantasia degli anni dell’innocenza. In realtà, però, io sono solito fare una sola grande distinzione: da una parte i libri scritti bene, dall’altra quelli scritti male. E tutto il resto è accademia.
- Un libro che non leggeresti mai… cosa deve avere o cosa manca?
Nella lettura occorre essere inflessibilmente selettivi: ci sono talmente tanti libri ben congegnati nell’intreccio e scritti con tecnica straordinaria, che mancare un buon testo per leggere un’opera mediocre rappresenta, a mio avviso, un peccato imperdonabile. Non amo i libri che, con sottile furbizia, giocano sulle debolezze di chi legge. Non amo i libri in cui si narrano storie melense e/o banali. Non amo i libri “furbi”, scritti per assecondare l’onda emotiva di un certo periodo e i un certo pubblico di riferimento. Non amo i libri ruffiani, che si vorrebbe piacessero a tutti senza scontentare nessuno. Non amo i libri volgari.
- Quanto è difficile far conoscere i propri libri?
Se non ci fosse internet, in una situazione di quasi-monopolio delle grandi “Sette Sorelle” (anche se non sono sette) dell’editoria nazionale, per uno spirito libero e indipendente quale io mi reputo, sarebbe quasi impossibile. La visibilità on-line, però, da sola non basta: è necessario spendere tempo e profondere energie per presentare in più posti possibili i propri lavori, avere il coraggio di metterci la faccia, sollecitare per quanto possibile l’attenzione mediatica, cercare spazio, anche facendo a gomitate, nei festival letterari di tutta Italia di cui, per fortuna, il calendario è ancora abbastanza segnato. In tutto ciò, devo dire, l’attività di drammaturgo, con il rapporto speciale che mi collega alla Compagnia Stabile Assai e ad altri importanti rappresentanti del teatro italiano, mi aiuta non poco. Altre proficue opportunità mi derivano, inoltre, dall’abitudine a organizzare eventi culturali che mi vedano coinvolto in prima persona.
- La domanda che non ti abbiamo fatto e che ti aspettavi? falla e rispondi pure.
Ecco la domanda:
Patrizio, come mai uno scrittore come te non ha ancora pubblicato con grosse case editrici?
E questa è la risposta:
Che ci si creda o no, si tratta di una scelta consapevole, volontaria e profondamente meditata. Certamente non facile. Nel corso di quasi vent’anni di intensa attività creativa ho ricevuto due proposte da una delle “Sorelle”, ma entrambe le volte il progetto che mi è stato presentato non mi ha convinto. Non voglio e non vorrò mai che si cerchi in qualche modo di guidare dall’esterno la mia produzione. Tempi e modi delle mie pubblicazioni preferisco gestirli in modo per quanto possibile autonomo, e in questa “politica” solo la media/piccola editoria può starmi dietro con l’elasticità che richiedo. A questo aggiungi che, nonostante i libri delle case editrici per cui ho lavorato siano nascosti, quando presenti, negli scaffali più alti o più bassi delle librerie, nonostante la mancanza di “aiutini” e “aiutoni” promozionali, niente mi ha impedito di “vendere”, nel corso degli anni, diverse migliaia di copie. E, se permetti, questo rappresenta per me una grandissima soddisfazione.
- Cosa ti piacerebbe rimanga al lettore di “In cauda venenum”?
Il piacere di avere letto due storie avvincenti, l’affezione per questo o quel personaggio che ne sono rimasti coinvolti e qualche spunto di riflessione su problematiche importanti emerse all’interno della trama. Sono schierato da sempre, decisamente, a favore della letteratura di evasione, ma trasmettere messaggi positivi e invitare a pensare non può risultare mai un errore.
- Patrizio, scriverai ancora?
Questa è quasi una provocazione: mi chiederesti se mangerò, berrò e respirerò ancora? Certo che sì. Continuerò a scrivere finché avrò forza e vita. Può bastarti come risposta? Senza andare così lontano, però, ti dico che sto lavorando a due nuovi romanzi con Cardona e a tre pièces da portare in teatro tra il 2017 e il 2018. Sempre che nel frattempo non venga fuori altro, s’intende: per dirla in positivo, credo che la “sindrome della pagina bianca” sia un morbo dal quale sono del tutto immune.
- Quanto è importante la copertina per il tuo libro?
Fondamentale. Perché se è vero che il buono di una scatola di cioccolatini è custodito all’interno della confezione, è pur vero che, tra tante scatole, la prima scelta di chi compra cade, inevitabilmente, su quella che riesce a catturare (visivamente) più l’attenzione. A questo proposito, da quanto mi si dice, parlando ancora di “In cauda venenum”, sembra proprio che l’illustrazione di copertina, opera dell’artista bresciano Gi Morandini, stia funzionando davvero alla grande.
- Ti ringraziamo Patrizio, per essere stato con noi, per averci dato la possibilità di parlare con Te.
Spero che ci sia occasione per incontraci ancora alla prossima uscita. In libreria o sul palcoscenico, questo si vedrà.